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La condanna del doppio turno: due ore per cenare e per pagare, i nuovi diktat al ristorante

Con la prenotazione online, il limite orario di una cena è prestabilito: un'ora e mezza, massimo due per mangiare e pagare. Anche nei ristoranti dove il conto è ben salato

La crisi globale della ristorazione ha rinfocolato un fenomeno mercantile che in passato, quand’era sintomo di prosperità, chiamavamo “doppio turno”. Il tempo, però, ha mutato i presupposti e le prospettive. L’altro ieri, scattava il doppio turno per esuberanza di richiesta, nei ristoranti di ceto popolare. Si trattava di un’eventualità più o meno probabile, secondo gli umori della clientela. Oggi, invece, siamo di fronte a una strettoia burocratica, che si materializza senza scampo sin dal momento della prenotazione. E non c’è più bisogno di chiamarla per nome, verbalizzando volgarmente il razionamento dei minuti. Il turn over dei tavoli avviene via web, come uno sparo al silenziatore, attraverso la compilazione dei form. Successivamente, riceveremo una email di conferma con data e orario di partenza del conto alla rovescia.

Un’ora e mezza per mangiare e scappare

Generalmente, il tempo a nostra disposizione è di circa un’ora e mezza. Un lasso sufficiente per una pizza e un dolce o poco più.
Il primo paradosso è che a questa consuetudine si sono allineati anche ristoranti che si fanno pagare cifre cospicue, giustificandosi con la retorica dell’accoglienza, dell’esperienza gastronomica e del lusso.

Il contrasto tra storytelling e realtà

Un caso esemplare è quello di Veramente, insegna milanese di fresco conio, fondata da una cordata di giovani imprenditori osannati dalla stampa (quelli delle insegne seriali “Il Mannarino” e “MiScusi”), con la collaborazione dello cheffone Andrea Berton. Lo storytelling si scolla dalla realtà come un decoro posticcio. Sulla home page del sito, in una sorta di manifesto programmatico, si legge: “Siamo per gli amanti delle lunghe chiacchierate a tavola e per chi adora far salotto”. Ah, bene! Anche noi. Peccato che tale privilegio non venga accordato ai clienti, che avranno 105 minuti di tempo per togliere il disturbo e sgombrare il campo al turno successivo (come da avviso nella mail di conferma!).

Ogni mese, sul mensile Gambero Rosso, la rubrica di Valerio Massimo Visintin: “Con le dovute eccezioni”

Il doppio turno diventa uno status symbol

Si direbbe una burla, se non sapessimo che questa gente si prende terribilmente sul serio. Ma che ansia far salotto con la clessidra in mano, pensando che a ogni singolo minuto c’è uno scatto di tassametro.
Eh, ma se non facciamo girare i tavoli, non ci stiamo dentro”, dicono i gestori, assediati dagli aumenti degli affitti e delle materie prime.

Mancano i clienti, ma il doppio turno dilaga

Sarà anche vero. Per girare i tavoli, però, bisognerebbe avere i clienti. La moltiplicazione dei turni, invece, prescinde dalla affluenza. Non è più un’esigenza. Sta diventando uno status symbol. A imporre le turnazioni, quindi, non sono soltanto i ristoranti che traboccano, molti dei quali, per altro, potrebbero sopravvivere con profitto contando su una sola infornata. Ma anche quelli – e sono la maggior parte – che lavorano soltanto nel week end e languono per il resto della settimana con la sala strapiena di turni vuoti.

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