
Dici Stati Uniti e pensi ad hamburger e Caesar salads, ribs e hot dog. Eppure questo menu non rende merito a una tradizione molto piรน complessa, che attraversa il Paese da cima a fondo, negli Stati del nord e nella provincia del profondo sud. Ma a tracciare una storia nella storia, ci sono i piatti originari dei cosiddetti flyover states, ereditร del patrimonio gastronomico dei nativi d’America, di quelle 58 tribรน riconosciute a livello federale, radicate tra North Dakota e l’Oklahoma, con il loro passato di colonialismo, sopraffazione, esilio e riscoperta. Un vero giacimento di sapori, cultura e storia. Che rischia di scomparire. A dare l’allarme, sulle pagine virtuali di Eater, Sean Sherman chef Sioux (tra i 100 persone piรน importanti secondo il Time nel 2023) insieme alla giornalista Mecca Bos. Lo fanno in un articolo intitolato: ร ora di costruire piรน ristoranti nativi, in cui i due spiegano che ยซi cibi nativi sono centrali nel cuore americano, se solo avessimo piรน posti dove mangiarliยป. Raccontano come il must eat a stelle e strisce, implementato da piatti piรน modaioli come cavolfiore alla bufala o le focacce, stia soffocando la cucina degli regioni centrali degli Usa, la cui autenticitร deve anche fare i conti con i grandi distributori di cibo di massa che con i loro prodotti appiattiscono e omologano i sapori. Senza contare la devastazione provocata dall’introduzioneย di un cibo di sopravvivenza – come il pane fritto โ realizzato con ingredienti forniti dal governo americano ed estranei alle abitudini alimentari di questi popoli che ha contribuito all’insorgere di alcune patologie come diabete e malattie cardiache.
Lo dice a ragion veduta, Sherman: cuoco e storico, รจ membro degli Oglala Lakota di Pine Ridge (South Dakota) e attivista per la tutela e la valorizzazione dell’identitร di questi popoli e delle loro tradizioni gastronomiche. Non si tratta solo di cucina, perรฒ, ma della storia dei nativi d’America, costretti a lasciare le loro terre dopo la legge razzista di Andrew Jackson, ancora ora marginalizzati rispetto certe dinamiche imprenditoriali. Oggi, ai tempi delle riserve indiane e dell’orgoglio delle proprie origini, trovare i piatti dei nativi รจ sempre piรน difficile, e questo appare ancora piรน paradossale se consideriamo che siamo in un momento storico in cui la cucina – di tutti i livelli e in tutto il mondo โ sta scavando a fondo nelle proprie radici per riscoprire e valorizzare la propria identitร gastronomica. E invece l’incredibile patrimonio agricolo dei Mandan, degli Arikara e degli Hidatsa; la valorizzazione del bisonte delle tribรน delle pianure come i Lakota e i Cheyenne; i piatti a base di antilope o di carne di cervo delle Dakotas o il coniglio stufato dei Cherokee potrebbero andare persi per sempre.
ยซVedo un enorme potenziale nello sfruttare, coltivare ed elevare la creativitร culinaria indigena che permea questa enorme regioneยป commentano gli autori immaginando l’industria della ristorazione dei nativi d’America come volano turistico che faccia tesoro della ricchezza e della diversitร di queste tradizioni. Questo perรฒ non accade: le comunitร native sono tagliate fuori dall’industria del turismo, come quello legato ai parchi nazionali e statali, che attirano milioni di turisti ogni anno senza che questo migliori le loro condizioni di vita. Le riserve vivono un isolamento economico, in cui si vive della condizione di esiliati ed emarginati (anche) alimentari: piatti, ingredienti, costumi e abitudini alimentari sono in pericolo di estinzione.
Senza contare il legame che la tradizione autoctona ha con la terra in cui nasce e con la sua biodiversitร , di cui diventa difensore:ย le tradizioni alimentari indigene sono modelli di sostenibilitร raggiungibili, la loro riscoperta puรฒ essere la chiave di volta verso la sovranitร alimentare, che sancisce il diritto dei popoli nativi a definirsi secondo i propri termini, dando vita alla riscrittura di una narrazione autodefinita.
Qualcosa perรฒ sta cambiando, e il merito รจ di quella generazione di chef e imprenditori decisi a dare alle loro culture di origine la giusta visibilitร . ยซI ristoranti di proprietร dei nativi stanno dimostrando di non essere solo reliquie del passato che conservano piatti tradizionali, ma progetti vivi e in evoluzione che continuano a nutrire e sostenere le loro comunitร dal punto di vista economico, nutrizionale, culturale e ambientaleยป. Tra questi c’รจ Burning Cedar dello chef Nico Albert Williams, un progetto no-profit di catering ed educazione di Tulsa (Oklahoma, uno degli Stati piรน attivi, dove รจ nato anche il progetto Natv, semifinalista al James Beard 2024) che propone pop up con piatti contemporanei come le costolette di cervo in crosta di semi, i fagioli affumicati al cedro, lo stufato di cervo e il pane di fagioli Cherokee. A Mineapolis, in South Dakota, Sean Sherman (l’autore dell’articolo) nel suo ristorante Owamni, si adopera per una decolonizzazione gastronomica, eliminando ingredienti non originari come farina di grano, latticini, zucchero, carne di manzo, maiale e pollo, in favore degli prodotti tradizionali di queste terre, con piatti come tacos di alce, tortillas fresche di mais Potawatomi – prodotte nell’Indigenous Food Lab – con cipolle piccanti all’acero, patate dolci grigliate all’acero e peperoncini, o costoletta di bisonte affumicata con bacche di aronia amara e zucca marinata.
Ancora poco, perรฒ, per riuscire a sfondare quel muro di silenzio che circonda queste tradizioni, complice la complessitร nel definire il cibo dei nativi americani, con la loro enorme diversitร (sono cucine, al plurale, molte e molto diverse, e ognuna rende conto della storia, quella condivisa degli Stati Uniti, e quella specifica di ognuna delle 58 tribรน), e la difficoltร di trovare finanziamenti necessari per avviare un’attivitร in una riserva. Specchio – questo – di disuguaglianze razziali ancora molto radicate.
Un aiuto potrebbe arrivare dalle amministrazioni statali e cittadine che potrebbero acquistare, per gli spazi pubblici come scuole e ospedali, da produttori indigeni portando cosรฌ un elemento di cambiamento positivo, non solo dal punto di vista economico (assicurando ai produttori un ampio bacino di vendita), ma anche sul fronte della conoscenza e la diffusione di alcuni cibi e delle culture che portano con sรฉ, educando il pubblico e normalizzando cosรฌ piatti e ingredienti oggi ancora nell’ombra ย ma che un domani potrebbero diventare fonte di orgoglio e di ispirazione. ยซPossiamo imparare ad abbracciare la nostra straordinaria diversitร invece di temerlaยป dicono. Un’insegnamento di cui bisognerebbe fare tesoro.
Foto di copertina: @billphelpsstudio
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