Ci provo, ma non riesco a pensare a niente di piรน moderno e frizzante del fine dining. Anche se, paradossalmente, โfine diningโ รจ una definizione polverosa, in bianco e nero, evocatrice di uomini in smoking e donne in abito da sera. Eppure, gli esperti di food concordano nel sostenere che, in cucina e nel mondo intero, non esiste avanguardia piรน oltranzista e visionaria del fine dining. E io mi associo. Anche se โavanguardiaโ รจ un concetto di estrazione novecentesca, nato e sepolto in quel contesto storico di effervescenza culturale e di ribellione post-bellica con vista sul boom economico. Mentre, a dirla tutta, nello sfarzo delle sale e nei gesti bianchi degli chef, รจ difficile scorgere un vago fremito di insurrezione sociale, se non da parte dellโincauto avventore alla consegna del conto.
La rubrica di Visintin “Con le dovute eccezioni” รจ sul mensile Gambero Rosso di giugno in edicola
Dettagli. Certo, รจ onesto ammettere che sul galateo dellโalta ristorazione pesano vezzi anacronistici e abitudini seriali che potrebbero apparire stucchevoli. Cito il meglio del peggio alla rinfusa. Le ceramiche bianche con bocconcini โfinger foodโ incollati sopra, i brodi versati direttamente al tavolo sulle pietanze, i pesci cubetto con ikebana di โverdure croccantiโ, le macchiette e le svirgole colorate alla Pollock, lโesasperante spiegone dei piatti, la pagnottona calda da intingere nellโolio, i grissini sottili come giunchi, le memorie di nonna, i giochi di consistenze, i giochi di temperature, i giochi di innovazione. E ancora: i menu degustazione obbligatori, perchรฉ la cena deve essere โun percorso esperienzialeโ, i menu degustazione da mille portate, a causa dei quali, piรน di una volta, ho pensato di sporgere denuncia per sequestro di persona.
Valerio Massimo Visintin, il critico gastronomico senza volto
Salvo debite eccezioni, il nostro amatissimo fine dining รจ ormai un corollario di ritualitร prevedibili e catalogate. Il feticcio coatto della creativitร a oltranza si scontra con i limiti umani di una categoria con le idee al lumicino.
Forse per questa ragione, cโรจ chi si impone retromarcia, mezza o intera, allo scopo di salvare almeno i conti. Lo chef modenese Luca Marchini aggiunge una pizzeria alla sua collezione di locali, come racconta lโottima Antonella De Santis proprio sul Gambero. Ancor piรน forte la voce della รฉtoile Viviana Varese, che divorzia da Eataly Smeraldo a Milano e dichiara coraggiosamente ad Alessandra Dal Monte del Corriere della Sera: โVoglio liberarmi dalle aspettative che si hanno su una cuoca Michelin. E mi rimetterรฒ a fare la pizzaโ.
Sono soltanto due esempi di emancipazione. Possiamo scommettere che le cronache dei prossimi mesi ne metteranno in fila altri.
La societร muta pelle. Nelle strade delle nostre cittร si pedala a testa bassa una vita di tutte salite. Soltanto gli chef dโalto bordo, per ora, guardan per aria a riveder le stelle.
Si accorgeranno presto che non cโรจ niente di piรน vecchio e noioso del fine dining.
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La piรน autorevole guida del settore dellโenologia italiana giunge quest’anno alla sua 37sima edizione. Vini d’Italia รจ il risultato del lavoro di uno straordinario gruppo di degustatori, oltre sessanta, che hanno percorso il Paese in lungo e in largo per selezionare solo i migliori: oltre 25.000 vini recensiti prodotti da 2647 cantine. Indirizzi e contatti, ma anche dimensioni aziendali (ettari vitati e bottiglie prodotte), tipo di viticoltura (convenzionale, biologica, e biodinamica o naturale), informazioni per visitare e acquistare direttamente in azienda, sono solo alcune delle indicazioni che sโintrecciano con le storie dei territori, dei vini, degli stili e dei vignaioli. Ogni etichetta รจ corredata dall’indicazione del prezzo medio in enoteca, delle fasce di prezzo, e da un giudizio qualitativo che si basa sull’ormai famoso sistema iconografico del Gambero Rosso: da uno fino agli ambiti Tre Bicchieri, simbolo di eccellenza della produzione enologica. che quest’anno sono 498.
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