Se non avete mai sentito parlare di souvigner gris, merlot khorus, cabernet cortis o soreli ĆØ arrivato il momento di fare la conoscenza della grande famiglia dei Piwi. Allāanagrafe pilzwiderstandsfƤhig (letteralmente resistenti ai funghi), sono quelle varietĆ ottenute per incrocio con portatori di resistenza alle principali malattie della vite. Come diceva qualcuno, Ā«Se vogliamo che tutto rimanga comāĆØ, bisogna che tutto cambiĀ». E, davanti al climate change, la viticoltura non fa eccezione.
Ma cāĆØ di più, come ci spiega Marco Stefanini, ricercatore alla fondazione Edmund Mach di San Michele allāAdige e presidente dellāassociazione Piwi Italia nata poco più di un anno fa (ad oggi sono più di 250 i soci): Ā«Le varietĆ resistenti non sono solo in grado di affrontare meglio i cambiamenti climatici, ma possono arrivare a ridurre fino al 70% i trattamenti in vignaĀ». E questo va a toccare lāaltro grande tema del momento: la tanto ventilata sostenibilitĆ .
Dāaltronde le ultime vendemmie hanno messo a dura prova tutti i viticoltori, soprattutto chi lavora in biologico o biodinamico. PerchĆ©, quindi, si guarda ancora con sospetto ai Piwi? Ā«IgnoranzaĀ», risponde senza esitazione Stefanini.
Ma guai a confondere il mezzo con il fine, dice Nicola Biasi, enologo frontman della rete āResistenti – Nicola Biasiā (cui ĆØ andato il premio per la vitivinicoltura sostenibile del Gambero Rosso): Ā«Venti anni fa i Piwi esistevano, ma i vini non erano buoni. Oggi le cose sono cambiate. Essere biologici, biodinamici o usare varietĆ resistenti deve essere il mezzo per ottenere come risultato il miglior vino possibile da un territorioĀ».
La buona notizia ĆØ che la ricerca, negli ultimi anni, ha fatto passi da gigante. E alla prova del calice si vede: la degustazione fatta nella redazione del Gambero Rosso mostra una qualitĆ mediamente alta che consente finalmente ai vini Piwi di entrare a giocare nel campionato principale del vino italiano. La cattiva notizia? A impedire lāesordio in Serie A, ci pensa la legislazione italiana (in questo caso, il Testo unico del vino) che esclude lāuso di queste varietĆ per vini Dop e Docg. Ma qualcosa si muove e pochi mesi fa ĆØ stato presentato un disegno di legge, su iniziativa del senatore Pietro Patton, per dare il via libera.
Anche perchĆ©, i competitor internazionali non hanno perso tempo. Ā«La Francia ha inserito le varietĆ resistenti in due delle sue denominazioni principali: Bordeaux e Champagne (rispettivamente al 10% e 5% – ndr) ā spiega Stefanini ā Invece, in Italia stiamo ancora a parlarne. Quando tra qualche anno lo Champagne annuncerĆ al mondo intero di essere la prima denominazione resistente, lāItalia cosa dirĆ ? Che stiamo ancora sperimentando?Ā».
Marco Stefanini, presidente Piwi Italia
Un invito a fare presto. Ma proprio il tempo ĆØ lāaltro grande ostacolo allāutilizzo dei Piwi. Al momento, infatti, occorrono più di 15 anni per autorizzare una varietĆ resistente: Ā«Sette, otto anni di ricerca per valutare la bontĆ dellāincrocio, a cui seguono quattro anni per lāiscrizione al registro nazionale della vite e sei anni per le autorizzazioni regionali. Una volta riconosciuto il nuovo vitigno, infatti, deve essere la singola regione ad autorizzarlo a livello localeĀ». Un iter non esattamente semplificato.
Ad oggi lāItalia ha registrato 36 varietĆ resistenti (18 bianchi e 18 rossi), ma sono solo dieci le regioni che ne permettono lāuso: Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Abruzzo e Campania. Chiarimento importante: i Piwi non hanno nulla a che fare con gli Ogm, ma sono semplici incroci (dallā80 al 97% di genoma della vitis vinifera) di cui la storia ĆØ piena. Un esempio su tutti? A inizio ā900, in seguito allāattacco della fillossera, fu necessario innestare i vitigni europei sul piede di vite americane per permettere la sopravvivenza della viticoltura.
Se, quindi, la ricerca ha dato i suoi frutti, ora sta ai Consorzi del vino raccoglierli. Il primo ad averlo fatto ĆØ lāente di tutela delle Venezie, che non solo ha sperimentato sul campo questi vitigni ma ha provato ad inserirli per il 10% nel disciplinare della Doc Pinot Grigio. Per avere lāok, però, deve aspettare la modifica del Testo Unico del vino di cui sopra.
Ā«Sarebbe la prima volta che i vitigni resistenti entrano dentro ad una Doc ā spiega il presidente del Consorzio Albino Armani ā Non vediamo argomenti, se non ideologici, per dire no. Per questo invitiamo anche le altre Doc a crederciĀ». Lāaltro grande Consorzio che ha avviato la sperimentazione ĆØ il Prosecco Doc: Ā«Non provarci sarebbe un erroreĀ», conferma il direttore Luca Giavi.
Intanto crescono i produttori che ci credono, come stiamo vedendo a questo Vinitaly dove sono una trentina quelli di Piwi Italia presenti. E per il 2026 cāĆØ giĆ una novitĆ : lāassociazione vorrebbe partecipare alla Fiera di Verona con uno stand collettivo. Un chiaro segnale per dire āanche noi siamo pronti a scendere in campoā. In fondo la prima partita da vincere ĆØ quella contro il pregiudizio, dove resistere ĆØ, ancora una volta, la parola dāordine.
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