Diversificazione ĆØ stata una delle parole chiave più usate negli ultimi anni in fatto di export vitivinicolo. Ma dal dire al fare… Si spiega cosƬ l’enorme rischio che adesso corrono le aziende vitivinicole italiane, di fronte ai dazi la 20% annunciati da Trump. Ad oggi, infatti, 363 milioni di bottiglie sono in “zona rossa” (secondo la definizione di Unione italiana vini), ovvero ben il 75% delle 481 milioni di bottiglie tricolori spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti. Si tratta di quelle denominazioni con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%.
Ma quali sono le aree enologiche più a rischio? Secondo lāanalisi Uiv, il picco assoluto ĆØ del Moscato dāAsti con una quota verso gli Usa sul totale export del 60%. A seguire cāĆØ il Pinot grigio (quota del 48%). Si passa, poi, in Toscana con il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop (35%) e il Brunello di Montalcino (31%). Quota del 31% anche per le Doc piemontesi. A chiudere Prosecco (27%) e Lambrusco (21%). In totale sono 364 milioni di bottiglie, per un valore di oltre 1,3 miliardi di euro.
A confronto con gli altri competitor europei, lāItalia ĆØ quella più esposta, come ricorda il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti: Ā«Lāesposizione italiana sul mercato statunitense ĆØ pari al 24% del valore totale dellāexport contro il 20% della Francia e lā11% della SpagnaĀ».
Ed ĆØ proprio dai Consorzi in questione (quelli toscani in primis) che viene lāappello a non chiudere i rapporti con gli Stati Uniti, tentando la via diplomatica e, allo stesso tempo, ad agevolare le nuove rotte, anche tramite accordi commerciali.
Ā«I dazi – ĆØ il commento del presidente del Consorzi del Brunello di Montalcino Fabrizio Bindocci – avranno un effetto ad ampio spettro dove non solo il vino rischia di diventare un bene voluttuario sempre più inaccessibile per i consumatori ma allo stesso tempo andranno a colpire settori cruciali anche per la nostra economia locale come lāenoturismo. Ci appelliamo ā concludeā alle istituzioni e alle diplomazie europee affinchĆ© riescano a trovare un accordo con gli Usa per scongiurare una penalizzazione che colpirebbe in maniera inesorabile tutte le impreseĀ».
Giovanni Manetti, presidente del Consorzio Vino Chianti Classico accoglie l’invito di Unione italiana vini a stringere dei patti con i buyer per non riversare i costi finali sui consumatori:
«Adesso noi produttori dovremo lavorare per condividere questo gravoso impegno economico con il trade statunitense che riteniamo sia altrettanto colpito da questa imposizione tariffaria.
Lavoreremo insieme convinti che il consumatore americano che da sempre ama e consuma Chianti Classico resterĆ fedele ai vini di qualitĆ Ā».
Ā«Siamo sempre più convinti che sia necessario avviare un dialogo costruttivo con le controparti americane per tutelare il nostro settore. Ribadiamo, inoltre, lāimportanza di accelerare la ratifica di accordo di libero scambio attraverso il Mercosur, al momento bloccato, e di eventuali altri accordi internazionali, oltre anche alla necessitĆ di semplificare lāutilizzo di fondi Ocm ormai ingessati dal forte peso burocratico richiestoĀ», ĆØ la proposta di Andrea Rossi, presidente del consorzio del Nobile di Montepulciano che negli Usa esporta il 35% della produzione
Per Giovanni Busi, presidente del Consorzio vino Chianti, bisogna trovare piazze alternative: Ā«Se i dazi Usa impongono un cambio di rotta, allora dobbiamo sfruttare al meglio le alternative a nostra disposizione Ć il momento di rafforzare la nostra presenza in nuovi mercati, a partire dal Sud America, dove lāaccordo con il Mercosur può aprire grandi opportunitĆ per il nostro vino. Allo stesso tempo, dobbiamo investire in Asia e iniziare a promuoverci in Africa e India per diversificare le nostre esportazioni e ridurre la dipendenza dagli UsaĀ».
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